Non più usa e getta, ma usa e ricicla, la green economy è un business (buono)
Non più usa e getta, ma usa e ricicla. Il futuro dell’industria è nella creazione di prodotti verdi, nel riutilizzo dei materiali già usati, nel taglio dei consumi di materie prime vergini, nella riduzione dei rifiuti e dello spreco energetico. Ce lo dice l’Europa, ma ce lo dicono anche i bilanci delle imprese impegnate nella Green Economy, che corrono più delle altre, sono più competitive e innovano di più, come emerge dall’ultimo rapporto GreenItaly, firmato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere. Del resto il sistema produttivo italiano, da sempre povero di risorse, è ben piazzato per tener testa alla pressione competitiva globale, grazie a un’importante tradizione di frugalità. Dai rottami di Brescia agli stracci di Prato, fino alla carta da macero di Lucca, in Italia si praticano da secoli l’attenzione all’efficienza e il controllo dei consumi. La strada verso un futuro sostenibile incrocia così percorsi intrapresi nel passato, che ci parlano di una spinta all’innovazione, alla qualità e alla bellezza. Questa sintonia fra identità e istanze del futuro negli anni bui della crisi è diventata una reazione di sistema, una sorta di missione produttiva indicata dal basso, spesso senza incentivi pubblici, da una quota rilevante delle nostre imprese, circa un quarto sul totale del tessuto industriale nazionale, in base ai calcoli di Unioncamere, che identifica quasi 350mila imprese italiane come green.
L’Italia è leader europeo nella dematerializzazione dell’economia: per ogni chilo di risorsa consumata genera 4 euro di Pil, contro una media Ue di 2,24 euro. «Tra i grandi Paesi europei, siamo quello con la quota maggiore di materia seconda impiegata dal sistema produttivo», spiega Domenico Sturabotti, direttore di Fondazione Symbola, punto di riferimento per le imprese verdi. Con quasi un quinto (18,5%) di materia seconda sui consumi totali, contro un decimo della Germania (10,7%), l’Italia è leader tra i grandi Paesi europei per tasso di circolarità dell’economia. Una sostituzione di materia che comporta un risparmio di energia pari a 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di Co2 all’anno. Il vantaggio di questa frugalità non si limita al risparmio energetico e alla conseguente riduzione dell’impronta ambientale. «La maggiore efficienza si traduce in minori costi produttivi, minore dipendenza dall’estero per le materie prime e maggiore innovazione», rileva Sturabotti. Che si tratti di prodotti realizzati dagli scarti o di rigenerazione di elettrodomestici, del riutilizzo degli abiti o della produzione di bioplastiche da residui agricoli, l’aspirazione all’efficienza aguzza l’ingegno e rende più innovativi. «Tra le medie imprese industriali che puntano sull’eco-efficienza, ben il 79% ha investito in ricerca e sviluppo negli ultimi cinque anni, contro il 43% delle altre», precisa. Ancora più interessanti sono le ricadute sul fronte della competitività: «Le imprese manifatturiere che hanno investito in eco-innovazione hanno registrato performance superiori a quelle non investitrici».
Ai migliori risultati di bilancio vanno ad affiancarsi quelli sull’export: le imprese eco-investitrici hanno segnato una crescita dell’export nel 49% dei casi, contro il 33% delle altre. E sull’occupazione: il 41% delle imprese impegnate nell’eco-innovazione ha registrato una crescita degli occupati, contro il 31% delle altre. Nel 2018 la domanda di green jobs è arrivata a quasi 474.000 contratti attivati, il 10% del totale delle figure professionali richieste l’anno scorso, che si tratti di ingegneri energetici o esperti di acquisti verdi, tecnici meccatronici o installatori di impianti termici ad altissima efficienza.
Nel manifatturiero i green jobs hanno sfiorato addirittura il 15%. Complessivamente, alla green economy si devono 3 milioni di green jobs: il 13% dell’occupazione nazionale. Nella geografia delle imprese green prevalgono le regioni del Nord in termini assoluti, a partire dalla Lombardia con 62mila imprese verdi, quasi un quinto del totale nazionale, seguita dal Veneto con 35mila imprese, il 10% del totale. L’incidenza di imprese verdi sul numero di imprese presenti sul territorio, però, è maggiore in Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia (29%), in Piemonte (27%), ma anche nel Sud, dalla Calabria alla Sardegna (tra il 26 e il 29%).
In pratica, in tutta la penisola l’impegno nelle tecnologie verdi è un’importante leva per la crescita, come dimostrano le tante storie di imprese che raccontiamo qui di seguito e che hanno trasformato le sfide ambientali in opportunità di business, sfruttando anche le tecnologie dell’industria 4.0. Tutti i comparti e tutte le filiere ne sono interessati, ma a seconda dei settori l’incidenza può cambiare parecchio, a partire dalle utilities dove la missione verde impegna quasi 5000 imprese, il 45% del totale, fino alle costruzioni, dove invece solo il 21% delle imprese (quasi 35mila) è definito green. In mezzo ci sono gli altri settori non agricoli, fra cui emerge il manifatturiero con il 31% di imprese verdi (quasi 74mila). Tra i comparti più verdi spiccano l’elettronica, gli apparecchi elettrici e la meccanica, dove il sistema produttivo italiano ha meglio interpretato la transizione verso modelli produttivi circolari, grazie alla progettazione di macchine utensili famose nel mondo, sempre più orientate all’efficienza e al recupero. Eccellenze verdi si trovano anche in altri settori classici del made in Italy, come l’arredamento, dove siamo leader europei nell’impiego di legno riciclato per la produzione di pannelli truciolari, con una quota del 90% di materia da riciclo, o la moda, dove sono italiane ben 60 delle 80 imprese che hanno aderito alla campagna Detox di Greenpeace a livello mondiale.
L’Italia è anche il primo esportatore europeo di biciclette: nel 2017 ne abbiamo vendute all’estero 1.758.768, molte di più dell’Olanda, con un’incidenza del 15,2% sul totale dell’export europeo. Se si considera l’intera filiera, la bicicletta italiana conta oltre tremila imprese e quasi ottomila addetti. Un contributo importante alla prospettiva di una mobilità più sostenibile. Il punto è che stanno rapidamente cambiando anche gli stili di vita e i modelli di comportamento dei consumatori. Il tema della sostenibilità appassiona o quanto meno coinvolge il 59% degli italiani, 29,7 milioni di persone, in base all’ultimo Rapporto Lifegate. Non a caso il fatturato complessivo dell’alimentazione biologica cresce a doppia cifra, sfiorando ormai i 5 miliardi, e il consumo consapevole è in pieno boom. La rivoluzione verde non è più un trend di nicchia.
Fonte: Corriere della sera
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